La sedia di Vanni Tola
DAI MOVIMENTI DEGLI ANNI SETTANTA ALLA SARDEGNA DI OGGI
a cura di Vanni Tola
Prosegue la pubblicazione di interventi e contributi relativi al Convegno “Dai movimenti degli anni 70 alla Sardegna di oggi. Per ricordare Riccardo Lai”, un giovane militante impegnato nell’attività politica e sociale di quegli anni. Lo facciamo intervistando Loredana Rosenkranz, una delle promotrici dell’iniziativa.
Quali sono le motivazioni che hanno suggerito di ricordare Riccardo ripercorrendo la storia dei movimenti politici degli anni 70?
Siamo ritornati finalmente all’antico compagno evitando un momento di pura condivisione sentimentale; ne abbiamo così rievocato alcuni tratti nel suo tempo, ripensandolo partecipe dei movimenti dai quali si era fatto attraversare, tra essi quello studentesco, delle donne, del sindacato mitico dei metalmeccanici, dell’autorganizzazione giovanile per il lavoro cooperativo sorta intorno alla legge 285. Non era facile perché significava rinnovare il trauma antico della sua perdita e gli imprecisati sensi di colpa che alcuni dei suoi amici si portavano dentro e inoltre agire sui traumatismi collettivi legati a quegli anni, sigillati dal delitto Moro, su cui si è ragionato molto poco e non solo nella nostra città.
Come si è sviluppato il confronto nel Convegno?
Il clima solidaristico e amichevole che alcuni partecipanti hanno percepito durante l’incontro ha segnalato, mi pare, il sollievo per lo sciogliersi della tensione fissata a quel momento drammatico della sua scomparsa, rimasta latente nei decenni. Posso dire che è stata come una restituzione a noi tutti del diritto a fare memoria anche su episodi oscuri e ancora controversi, con la messa a confronto di interpretazioni diverse, anche opposte, ma non per questo estranee alla nostra capacità di comprensione e condivisione. Consci dei nostri limiti e obbligati a impietose selezioni dei temi e contributi possibili, abbiamo provato a esercitare uno sguardo non giudicante, anche se non neutrale, su quelle tensioni e a dichiarare una apertura di riflessione che speriamo possa venir raccolta ancora.
Gli interventi del Convegno hanno evidenziato la necessità di ricostruzione della memoria storica degli anni settanta e dell’attività dei movimenti di allora. Perché è importante lavorare sulla memoria?
Lavorare alla memoria fa agire il presente sul passato, consente la continuità, un lavoro essenziale per la costruzione di identificazioni che è stato debole in questi decenni ed insufficiente a creare eredità condivise. Abbiamo provato, anche se molto superficialmente, a toccare il nervo scoperto delle rimozioni su quegli anni. Non è accettabile, anche se è molto consolatorio, credere che il troppo poco di memoria o la memoria scadente e semplificata che si è tramandata sugli anni Settanta anche in Sardegna sia imputabile solo ad attori istituzionali o alle lacune della storia ufficiale. Certo, senza la memoria dei soggetti protagonisti degli eventi è difficile possa seguire un seppur problematico sguardo storico che cerca la verità. E’ anche vero che l’oblio che si è disteso su quel periodo è il prodotto anche di una loro complicità, frutto per taluni versi credo di delusioni della politica, che tanta parte aveva nella vita dei giovani di allora, e della incapacità di una condivisione sulle valutazioni relative all’uso della violenza, che non era più evidentemente solo fascista o di stato.
Quali sono le difficoltà per la ricostruzione della memoria collettiva di quegli anni?
Nell’imbarbarimento di uno scontro sociale brutale, gli attori più deboli, gli studenti di università subite come centri di un sapere depotenziato e gli operai di un sistema industriale in ristrutturazione, furono travolti dal venir meno di referenti politici o sindacali, anch’essi in mutazione. Il discrimine tra dissidenza politica e lotta armata, imposto dal clima intimidatorio presente anche in luoghi di parola come le assemblee ed in ogni manifestazione pubblica, ha reso difficilmente recuperabile per la memoria collettiva le azioni di quei movimenti che pure, anche in Sardegna e nel nostro territorio, conducevano pratiche illegali e non violente ma fortemente partecipate (cortei interni agli impianti, picchetti agli ingressi, occupazioni di case e autoriduzioni delle bollette, occupazioni di spazi pubblici e privati a scopo sociale e politico, pratiche abortive assistite in regime di penalizzazione dell’aborto). In esse erano coinvolti spesso non solo giovani rivoluzionari e rivoluzionarie ma anche intellettuali, esponenti politici eletti, collettivi, partiti e partitini.
Quale è stato il ruolo delle “radio libere”, molto presenti in quegli anni, nella diffusione delle attività e delle proposte dei movimenti?
Le radio libere, Radio Nord Ovest poi Radio Sassari Centrale e un organo di stampa, Tuttoquotidiano, hanno dato voce a Sassari anche agli e alle esponenti dei movimenti, a volte in aperta dissonanza con i partiti che sostenevano il governo e con la grande stampa, di solito schierata con la verità ufficiale e con le azioni di polizia. Le redazioni erano aperte a ogni contributo, una alternativa alla stampa schierata che pretendeva di accreditare una versione unica e perciò veritiera dei fatti.
Quale eredità hanno lasciato i movimenti degli anni 70 alla Sardegna di oggi?
Molti esponenti di quella generazione furono costretti al ruolo di spettatori dopo esser stati protagonisti di istanze radicali di cambiamento e tuttavia costruirono nel tempo percorsi di impegno professionale e civile, scegliendo la strada dell’immersione tra la gente e del lavoro spesso di servizio nell’isola e provando soluzioni all’eradicamento e all’esilio, destino che sembra molto presente invece a diversi sardi delle nuove generazioni. Penso a come molti di quei giovani sono entrati nel lavoro, permeando la dimensione pubblica, dalla scuola, agli enti locali, alla sanità ma anche quella privata, come le esperienze delle cooperative sociali e del volontariato, lavoro di servizio, rivolto alla comunità. Esempi di legame al territorio che hanno fatto da ponte per il presente. Perché forse dobbiamo a quella eredità anche il fiorire oggi nella nostra regione, in modo non dissimile da altre regioni italiane, di movimenti, questa volta articolati nel retroterra e non più prevalentemente urbani, che mettono a fuoco i bisogni vitali di sopravvivenza: i beni comuni, la sovranità sul territorio, la riorganizzazione dei piccoli centri dove la vita, con l’impoverimento medio della popolazione, è più sopportabile. Contenuti ideativi e percezione di diritti nuovi che si innestano su antichi presupposti e vedono, accanto alle precedenti, nuove generazioni in campo, con un’idea della politica di opposizione che appare partecipativa, fatta di presidi sul territorio e di azioni concrete per farlo produttivo, preservandolo e rendendolo fruibile a tutti. Questo sta accadendo oggi sotto i nostri occhi ed è una possibilità ancora fragile ma reale di un agire politico diverso, per certi versi in discontinuità con il passato ma non privo di richiami. Nonostante la distanza, fare memoria sugli anni Settanta è ancora difficile, ma è un processo ormai in atto, necessario per vivere meglio questo presente e comprendere alcune delle dinamiche della nostra società in rapida evoluzione.
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