PNRR in Sardegna. La questione energetica tra scelte obbligate e nuove prospettive
La sedia
di Vanni Tola
La questione energetica dell’Isola nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il dibattito concernente il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sta evidenziando in Sardegna l’assoluta incapacità programmatoria della Giunta regionale e la sostanziale mancanza di una prospettiva di sviluppo dell’economia regionale, che contraddistingue l’apparato politico dell’Isola.
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Riservandoci di valutare complessivamente il Piano con maggiore dettaglio, cominceremo con l’esaminare uno dei suoi aspetti, quello che fa capo al dicastero della Transizione Ecologica. Tale Ministero detiene una parte molto consistente del finanziamento previsto per l’intero piano, con un portafoglio di circa sessanta miliardi da destinare alla transizione energetica e mobilità sostenibile, all’efficienza energetica, alla tutela dei territori e delle risorse idriche e all’agricoltura ed economia circolare.
Apprendiamo qualche particolare da una recente intervista concessa al quotidiano La Repubblica dal titolare del dicastero, il fisico Roberto Cingolani già attivo nell’esame dei tanti dossier regionali predisposti in tale ambito. La Sardegna è parte in causa in materia energetica. Le questioni sul tavolo, per quanto ci riguarda, sono sostanzialmente due: la questione del metano come combustibile necessario per eliminare il carbone dal processo di produzione dell’energia; il riferimento all’eolico off-shore e al fotovoltaico.
Sulla questione del metano si sarebbe sostanzialmente di fronte a una scelta obbligata per favorire la dismissione degli impianti energetici a carbone non essendoci al momento altre scelte possibili. Naturalmente tale scelta “obbligata” lo sarà soltanto fino a quando non decollerà la produzione di Idrogeno, considerata la soluzione ottimale per il futuro.
Con tale premessa il Ministro Cingolani intende, stabilire delle modalità procedurali ben precise per sgombrare il campo da impedimenti e strozzature che, di fatto, hanno finora rallentato i processi autorizzativi degli investimenti in campo energetico. Ciò determinerà una limitazione consistente del potere decisionale del Ministero della Cultura e delle Soprintendenze nella partecipazione al “procedimento unico” di assegnazione delle opere. D’ora in avanti, infatti, tali organismi potranno esercitare il loro intervento soltanto in caso di impianti che si trovino in “aree sottoposte a tutela” o nelle quali sia accertata esistenza di beni archeologici. Ne deriva, a parere del legislatore, una notevole accelerazione dei processi decisionali per le rinnovabili che non si configurerà comunque come una sostanziale assenza di vincoli, tutt’altro. Il Governo, infatti, si opporrà a richieste localistiche che non abbiano un reale valore nel perseguire gli obiettivi del Piano.
E qui si affronta un punto che sicuramente farà discutere parecchio. Non saranno più le Regioni a decidere come spendere i finanziamenti per i progetti che presenteranno, sarà il Governo a scegliere i progetti migliori da finanziare con riferimento alle linee di programmazione comuni. Le conseguenze non sono di poco conto. Le regioni con forte capacità progettuale saranno avvantaggiate quelle con ritardi e limiti nella capacità progettuale avranno certamente difficoltà ad assicurarsi finanziamenti anche perché verrà loro a mancare il potere di interdizione nei confronti degli interventi del Governo. Certamente è prevedibile una levata di scudi delle Regioni e delle Comunità locali che vedranno in queste scelte una limitazione delle loro capacità progettuali. Tuttavia, riconsiderando la nostra esperienza locale, la cronica incapacità di programmazione e di spesa dei finanziamenti ottenuti nel passato, la lentezza della burocrazia e, soprattutto, la necessità di mantenere omogeneità di intervento sulla base delle indicazioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, non si può non riconoscere che il Piano ministeriale sia improntato e sostenuto da logica e concretezza.
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