Novembre 21, 2024

Tempo di finanziaria, tempo di tagli alla spesa pubblica.

Articolo periodico AREE (ass.ne reg.le età evolutiva) n° 45/46 Ottobre 2002


I tagli sono il ridimensionamento o la soppressione di una voce di spesa del bilancio dello Stato, determinato da esigenze economiche d’interesse generale. Teoricamente tutti i settori economici oggetto della spesa pubblica possono subire un ridimensionamento delle risorse finanziarie loro destinate. In pratica, invece, sono solitamente colpiti dai tagli della spesa quei comparti nei quali si ha ragione di credere che si realizzino spese superflue, sprechi, peggio ancora, spese inutili.La scuola pubblica é uno dei settori nei quali sta per abbattersi la mannaia della finanziaria, con una considerevole contrazione dei finanziamenti destinati al comparto. In pratica si va incontro ad una riduzione del numero degli addetti ai servizi di segreteria e dei bidelli e ad una notevole riduzione del numero di insegnanti di sostegno per gli alunni disabili. Proviamo ad immaginare quali criteri possono avere ispirato tale scelta. E’ probabile che – in una logica di razionalizzazione aziendalistica di compiti e funzioni degli addetti alle segreterie scolastiche – possa essere ipotizzabile una riorganizzazione del lavoro ed una più razionale utilizzazione degli impiegati, tale da rendere sopportabile, per il sistema scuola, una riduzione di personale degli uffici. E’ altrettanto probabile che possa essere riconsiderato il ruolo dei bidelli separando le mansioni relative alle attività di pulizia dei locali (che si vorrebbero affidare ad imprese esterne alla scuola con competenza specifica), da quella di assistenza all’attività scolastica (vigilanza ambienti, ricezione utenti, comunicazione interna, assistenza agli alunni).E’ verosimile che tale operazione di ristrutturazione e riqualificazione del ruolo possa essere attuata riducendo il numero di addetti. Ma quando parliamo di rilevante ridimensionamento del numero di insegnanti di sostegno stiamo parlando di tutt’altra cosa. Gli insegnanti di sostegno alle classi con alunni in condizione di handicap non sono in soprannumero, sono anzi molti di meno di quanti ne occorrerebbero per garantire il tipo e la qualità di servizio che la nostra legislazione prevede. L’attività svolta dagli insegnanti di sostegno non può essere ridimensionata e razionalizzata, in termini di riduzione del numero degli addetti, se non modificando il rapporto tra insegnante e numero di alunni assegnati alle sue cure. Farlo significherebbe ridurre il numero di ore di sostegno per ciascun alunno disabile (già oggi considerate esigue) o accorpare , in una stessa classe, un numero maggiore di alunni disabili. Nel primo caso si ridurrebbe sempre più l’azione specialistica di coordinamento e programmazione delle attività individualizzate tesa a favorire la migliore integrazione possibile dell’alunno nella classe. Concentrare il numero dei disabili nelle classi significherebbe percorrere una strada molto pericolosa, in termini concettuali e pratici, che ridurrebbe il ruolo dell’insegnante di sostegno a quello di “badante” e non più, quindi , di operatore di attività individualizzate mirate che, in tale condizione, sarebbe problematico realizzare. Nel secondo caso siamo davanti ad una logica che può condurre a compiere pericolosi passi indietro in direzione delle “classi speciali” nelle quali confinare i disabili. Un’eredità del passato della quale ci siamo faticosamente e fortunatamente liberati con scelte legislative che rappresentano, a tutt’oggi, un importante punto di riferimento in Europa e nel mondo. Uno dei pochi elementi che qualificano il nostro sistema scolastico é il fatto che l’alunno in condizioni di handicap consegue una ragionevole integrazione scolastica in virtù dell’attività individualizzata appositamente predisposta all’interno della classe e del confronto costante con gli altri alunni (quelli genericamente definiti “normodotati”) attraverso un rapporto di scambio di conoscenze e comunicazioni che si traduce in un vantaggio per tutti. Nel contesto classe si stabiliscono una serie di dinamiche comunicative e formative che portano il disabile ad interagire con la classe e questa ad interagire con lui. Nascono nuovi ruoli, si pensi agli alunni tutori, si acquisiscono linguaggi, capacità e tecniche comunicative specifiche e molteplici. Si pratica, cioè, un serio tentativo di integrazione scolastica che prelude a possibili ulteriori momenti di integrazione sociale. In una classe con molti alunni disabili il confronto non é più tra l’alunno in difficoltà e gli alunni “normodotati” ma, prevalentemente, solo tra alunni disabili. I modelli di riferimento diventano, a questo punto, differenti. Mentre dal rapporto con i compagni “normodotati” il disabile può apprendere comportamenti integranti, dai suoi compagni con handicap simili al suo ( o differenti), può apprendere comportamenti quali prassie, tic, modi di parlare alterati, che possono reiterare all’infinito le sue difficoltà. E’ questa una delle principali argomentazioni che portano a respingere l’istituzione di classi speciali per soli disabili che pure , in termini di impiego di personale specializzato – insegnanti di sostegno ed assistenti – comporterebbe notevolissimi risparmi nel numero di addetti. La riduzione del numero degli insegnanti di sostegno impegnati nella scuola dell’integrazione dei disabili non rappresenta soltanto una operazione contabile fine a se stessa, ma rappresenta una scelta politica, culturale ed operativa che va in controtendenza con le scelte della normativa per l’integrazione scolastica e sociale dei disabili, una scelta contraria alle politiche per l’integrazione del nostro paese. Pensiamo davvero che l’utilità dell’integrazione scolastica dei disabili possa essere valutata col metro delle logiche aziendalistiche – per intenderci in termini di produttività e profitto – o crediamo che l’integrazione abbia in sé una valenza aggiunta sociale e culturale non quantificabile in termini economici e finanziari, ma di inestimabile valore civile?

Articolo periodico AREE (ass.ne reg.le età evolutiva) n° 45/46 Ottobre 2002